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Il pub più solitario del Metaverso: Il giorno di San Patrizio nel Sandbox

by v

Pensate al cameratismo. Alla comunità. Alla gioia rinvigorente che deriva dal riunirsi con i vicini, la famiglia e gli amici e condividere con loro canti, dissolutezza, dolore e risate, oltre a qualsiasi altra cosa. Questi sono i legami essenziali che ci rendono umani. E non ci sono due concetti che incarnano meglio questa umanità del giorno di San Patrizio e del metaverso.

Immaginate quindi la gioia sfrenata di questo giornalista nel ricevere un invito al primo pub irlandese del metaverso, che aprirà in The Sandbox il giorno di San Patrizio! Prendete la festa irlandese, sempre viva e ricca di pub, e fondetela con la tecnologia pronta (così dicono) a ridefinire per sempre la comunità e l’esperienza condivisa online. Un modo migliore per trascorrere un pomeriggio all’insegna dell’apprezzamento della cultura umana, con un occhio alla tradizione e uno all’avanguardia.

Sono arrivata all’Irish Shebeen pronta a ballare, a parlare, ad ascoltare e a incontrare persone provenienti da tutto il mondo (questo è il vantaggio di un pub virtuale). Avevo anche una Guinness in frigo, nel caso in cui le pinte digitali avessero smesso di bastare.

Pronto a entrare in The Irish Shebeen in The Sandbox.

Pronto a entrare in The Irish Shebeen in The Sandbox.


Quando entrai nel locale, però, non sentii nemmeno un grido o una melodia da ubriaco. Il locale era silenzioso – silenziosissimo – a parte un inquietante e incessante loop di musica da ascensore. Alcuni avatar sedevano da soli a tavoli sparsi, con lo sguardo fisso in avanti, sette pinte di birra verde intatte incollate ai tavoli di fronte a loro. Qua e là, piccoli gruppi di avatar stavano in cerchio, parlando animatamente. Mi avvicinai a loro, agitai le braccia e ballai un po’, cercando di presentarmi. Non hanno risposto.

Mi avvicinai al barista, che anche lui non mi rivolse la parola; in un impeto di frustrazione gli diedi un pugno nello stomaco, ma anche quel gesto non suscitò alcuna risposta. Dopo aver girato un po’ di volte sul bancone, è diventato chiaro che nessuno degli altri avventori si muoveva, se non con lievi e ripetitivi movimenti animatronici. Preso dal panico, chiamai il mio amico e gli dissi di raggiungermi all’Irish Shebeen di The Sandbox. C’era qualcosa in ballo.

È arrivato poco dopo, o almeno così ha detto. Ma non riuscivo a trovarlo. Stava guardando dritto in un pub semivuoto, silenzioso, pixelato e traboccante di decorazioni a forma di trifoglio, e anch’io. Ma non riuscivamo a vederci.

Una richiesta di informazioni ai rappresentanti di Sandbox ha chiarito le cose: il pub, creato da una coppia di giornalisti di Web3 e da Hermit Crab Game Studio con il supporto di Kinahan’s Whiskey e di altre 28 organizzazioni ed entità nominate, per ora è un’esperienza esclusivamente per un solo giocatore. Gli avventori sono semplici spettatori robotici. Il supporto multigiocatore è previsto per il futuro, a quanto pare.

Mi voltai con silenzioso orrore: i pochi avventori con gli occhi morti sparsi per lo Shebeen erano davvero morti. Ero nel pub completamente solo. Attraverso una chat box, potevo comunicare con altri visitatori sospesi nei loro solitari pub irlandesi. Dissi a chiunque fosse lì fuori che ero un giornalista e che ero curioso di sapere chi altro si trovava allo Shebeen e perché era venuto. Nessuno rispose. Dopo un minuto ho chiesto, in modo più retorico che altro, se questo fosse meglio che andare in un vero pub. Un certo Alkai rispose immediatamente: “No”.

Un pub virtuale senza esseri umani reali dietro i frequentatori

Un pub virtuale senza esseri umani reali dietro i frequentatori


Svuotato dall’entusiasmo, ma ora almeno consapevole del contesto della mia esistenza virtuale, mi avvicinai a un palco musicale, dove stava suonando una band irlandese. Strimpellavano arpe e soffiavano nei flauti, ma, cosa inquietante, non producevano alcun suono. Il palco era silenzioso come qualsiasi altro luogo del pub a quattro piani, a parte, ancora una volta, il ronzio incessante e ineluttabile della musica dell’ascensore;

“Adoro queste sessioni musicali, chiunque può unirsi e suonare!”, mi disse un finto uomo di nome Shane vicino al palco, battendo la testa a un ritmo che non esisteva. “È uno dei motivi per cui questi pub sono così accoglienti per tutti. “

Bellissima opera d'arte all'esterno dell'Irish Shebeen. Immagine: Hermit Crab Game Studio

Bellissima opera d’arte all’esterno dell’Irish Shebeen. Immagine: Hermit Crab Game Studio


Sono salito sul palco, ma le mie mani non potevano afferrare i numerosi strumenti in giro. Erano tutti incollati alle sedie.

Alla fine, rassegnata ad aspettare la mia condanna, mi sistemai al bar accanto a un uomo decisamente non reale di nome Shay.

“L’isola del lago di Innisfree è stata scritta dal famoso W.B. Yeats!”. Mi disse Shay.

Non avevo mai sentito parlare di questa poesia, così l’ho cercata. Parla di un’isola in Irlanda che, immancabilmente, pulsa al ritmo dolce e costante della Terra:

“Mi alzerò e andrò ora, perché sempre, notte e giorno
sento l’acqua del lago lambire con suoni bassi la riva;
mentre sto sulla strada o sui marciapiedi grigi,
la sento nel profondo del cuore”.

Ho trovato la poesia molto bella e ho ringraziato Shay per avermela consigliata, proprio nel giorno di San Patrizio.

“L’isola del lago di Innisfree è stata scritta dal famoso W.B. Yeats!”, mi ha risposto sorridendo.

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