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Le criptovalute saranno presto prese in considerazione per ottenere un mutuo immobiliare negli Stati Uniti?

by Christian

Il direttore della FHFA, l’agenzia federale americana incaricata di supervisionare e regolamentare le principali istituzioni di finanziamento immobiliare negli Stati Uniti, ha chiesto alle due principali società del sistema ipotecario americano di contabilizzare le criptovalute. Una misura che consentirà al “Bitcoin di entrare nel sogno americano”, secondo Michael Saylor.

Le criptovalute presto considerate come garanzia per un mutuo immobiliare

Si tratta di una piccola rivoluzione nel mondo altamente regolamentato del credito immobiliare americano. Mercoledì scorso, la Federal Housing Finance Agency (FHFA) ha ufficialmente chiesto a Fannie Mae e Freddie Mac, i due pilastri del sistema ipotecario, di integrare le criptovalute nei loro criteri di valutazione del rischio per i mutui immobiliari residenziali.

L’istruzione, firmata da William J. Pulte, direttore della FHFA, ordina alle due aziende pubbliche di presentare un piano dettagliato su come integrare gli asset digitali nei loro modelli di analisi, senza obbligare i mutuatari a convertire le loro criptovalute in dollari prima della concessione di un credito.

Per la prima volta, le cripto-attività detenute su piattaforme centralizzate regolamentate negli Stati Uniti potranno essere considerate come garanzia nell’ambito di un mutuo immobiliare tradizionale. Michael Saylor, CEO di Strategy, ha reagito alla notizia senza mezzi termini:

La direttiva della FHFA precisa tuttavia che saranno ammissibili solo gli asset “verificabili e conservabili su una piattaforma centralizzata regolamentata negli Stati Uniti”. In altre parole, gli asset on-chain detenuti tramite self-custody o su protocolli DeFi non saranno contabilizzati in questa fase.

Per quanto riguarda le criptovalute che potrebbero essere prese in considerazione, il documento non fornisce chiarimenti. Non sappiamo nemmeno quale sarà il rapporto stabilito per ottenere un prestito, data la volatilità intrinseca delle criptovalute.

Questo cambiamento potrebbe avere un peso notevole, dato che Fannie Mae e Freddie Mac garantiscono insieme oltre la metà dei mutui ipotecari del Paese, pari a quasi 6.000 miliardi di dollari. Autorizzandole a integrare le criptovalute nella loro valutazione del rischio, la FHFA invia un segnale alle banche, come ha sottolineato Danielle Hale, economista di Realtor.com, uno dei principali siti immobiliari degli Stati Uniti:

Se Fannie e Freddie accettano le criptovalute come garanzia collaterale, ciò costituisce un forte incentivo per le banche a modificare le loro pratiche. Infatti, le persone che altrimenti avrebbero dovuto vendere le loro criptovalute per essere idonee, il che poteva rappresentare un ostacolo per loro, potranno ora richiedere un prestito. Questo amplia in qualche modo il bacino potenziale di acquirenti idonei.

Su X, il direttore della FHFA ha giustificato questa decisione come un ulteriore passo avanti verso l’obiettivo del presidente Trump di rendere gli Stati Uniti “la capitale mondiale delle criptovalute”. Si tratta di un orientamento politico dichiarato, in un contesto in cui a Washington si moltiplicano i segnali favorevoli alle attività digitali, dall’adozione delle stablecoin regolamentate tramite il GENIUS Act all’autorizzazione di nuovi ETF.

Si ripete la storia?

Ricordiamo che negli anni 2000, Fannie Mae e Freddie Mac hanno accumulato una quota crescente di mutui ipotecari a rischio, compresa una larga percentuale di mutui subprime, spesso concessi a famiglie con scarsa solvibilità. Riacquistando questi crediti dalle banche e cartolarizzandoli sotto forma di titoli garantiti da ipoteca (MBS), hanno alimentato la bolla immobiliare e incoraggiato il settore bancario a moltiplicare i crediti senza controlli rigorosi.

L’accumulo di attività tossiche, unito alla garanzia implicita dello Stato su queste due entità, ha permesso ai rischi di diffondersi in tutto il sistema finanziario mondiale. Quando il mercato ha subito una inversione di tendenza nel 2007-2008, le perdite su questi portafogli sono esplose, portando il governo americano a metterli sotto tutela nel settembre 2008, con un salvataggio stimato in circa 190 miliardi di dollari a carico dei contribuenti.

Senza dubbio alcuni non mancheranno di cogliere l’occasione per tracciare un parallelo tra l’annuncio di oggi e quanto accaduto allora. Bis repetita?

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